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Le frodi nell'ambito degli Edge Fund

7.4 L’accusa: il sindaco Moratti era a conoscenza della truffa dei derivati

Sospettando una truffa ai suoi danni nella sottoscrizione di contratti derivati, il Comune di Milano ha intentato un’azione legale contro le banche responsabili dell’operazione nel gennaio 2009. Ma le criticità contrattuali al centro dell’esposto, erano state rese note al sindaco Letizia Moratti già nel febbraio 2008, ovvero quasi un anno prima. Tutto ciò è stato documentato da un esposto redatto dallo studio legale Pavia e Ansaldo (cui il Comune aveva chiesto una consulenza sui derivati) e in seguito consegnato a mano (non direttamente dai consulenti) allo stesso primo cittadino. Nel testo, mai protocollato tra gli atti comunali, i legali giudicano “non corretta” la valutazione effettuata dalle banche sull’effettiva convenienza dell’operazione ipotizzando per questo possibili “responsabilità sotto il profilo amministrativo e civilistico”.

Al centro della questione vi era, ovviamente, la maxi emissione obbligazionaria da 1,68 miliardi realizzata nel 2005 dalla giunta presieduta dall’allora sindaco Gabriele Albertini. Sotto la lente di Pavia e Ansaldo era finita in primo luogo la presunta correttezza dell’operazione finanziaria condotta dal Comune insieme agli istituti: costituzione di un contratto swap e inglobamento di un derivato già esistente, sottoscritto con Unicredit, che aveva generato perdite per Palazzo Marino. Secondo i consulenti, non sarebbero stati presi in considerazione «né l’effettivo costo delle passività degli swap in essere né l’eventuale costo riguardante la rimodulazione o estinzione delle coperture in essere».

Ovvero, nel rinegoziare i derivati già sottoscritti, il Comune avrebbe rischiato di sostenere dei costi ma tale eventualità non era stata presa in considerazione nella valutazione sulla convenienza dell’operazione. Un giudizio, quest’ultimo, di fondamentale importanza visto che secondo l’accusa le banche avrebbero costruito la loro truffa proprio sull’omissione di informazioni chiave. A lasciare perplessi i consulenti legali vi è anche la sottoscrizione di un credit default swap a protezione dell’eventuale caduta in disgrazia delle obbligazioni detenute dall’ente. Tuttavia, in questo caso si parla di “rischio contenuto”.

Il terzo capitolo del documento è dedicato alla sottoscrizione degli interest rate swaps, i derivati che avrebbero dovuto proteggere il Comune dal rischio di un rialzo dei tassi e dalle conseguenti ricadute negative sullo stato del proprio debito. L’accordo prevedeva uno scambio periodico di denaro sottoforma di interessi su un capitale predefinito (in questo caso gli 1,68 miliardi dei bond emessi nel 2005). Ad ogni scadenza le banche versavano un tasso fisso del 4,019%, mentre il comune erogava agli istituti un interesse variabile calcolato su quello generale di riferimento, l’Euribor, e che, da contratto, non poteva in ogni caso essere superiore al 6,19% né inferiore al 3,48%.

Entrambe le parti, dunque erano protette da quelle che per loro erano le rispettive peggiori eventualità (crollo e “impennata” dei tassi). Se il tasso di riferimento scende sotto il 4%, il Comune si avvantaggiava perché il rimborso della banca superava le spese, se il variabile eccedeva il fisso, al contrario, l’istituto otteneva una plusvalenza. Il problema, rileva però l’analisi di Pavia e Ansaldo, era che il Comune «si avvantaggiava modestamente della possibilità che il tasso variabile fosse inferiore al tasso fisso dovuto al prestito obbligazionario, esponendosi in maniera più rilevante ad un’eventuale oscillazione dei tassi in cui il variabile fosse superiore al fisso. Gli esperti finanziari, rileva il documento, avrebbero dovuto quindi stabilire se il valore della protezione offerta dalle due parti fosse stato effettivamente equivalente, una condizione fondamentale per la legittimità del contratto e che, si sospetta, in questo caso mancherebbe.

Sansoldo Fabrizio

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